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Elezioni Politiche 2006
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3. La classe politica
Infine, per valutare «con sapienza» i programmi occorre guardare alle qualità morali e professionali della classe politica, cui spetta la principale responsabilità nella realizzazione del progetto. Ora, la incertezza maggiore delle prossime elezioni riguarda appunto la scelta dei candidati. Da un lato, c’è urgente bisogno di un profondo ricambio della classe politica, alla luce anche delle collusioni mai del tutto eliminate (neppure dopo Tangentopoli) tra mondo politico e mondo degli affari. D’altro lato, però, avendo abolito il voto di preferenza, l’ultima legge elettorale obbliga a votare solo i partiti, ai quali spetta di compilare la lista dei candidati. È un problema che riguarda tutti, sia la destra sia la sinistra. È evidente, infatti, il rischio di ricadere nella partitocrazia, nel clientelismo e nel centralismo democratico, vecchi vizi della Prima Repubblica. Perciò, subito dopo le elezioni, bisognerà riprendere in maniera approfondita il discorso sul rinnovamento della forma-partito, aprendosi alla partecipazione diretta della società civile; in particolare, nel centro-sinistra potrà essere ripresa la prospettiva del partito unico, ma senza forzare i tempi e passando attraverso una fase costituente che faccia maturare il necessario consenso della base.
Nello stesso tempo, occorre che i cattolici riconsiderino seriamente il problema della loro presenza politica. Dopo la fine della DC, essi oggi militano politicamente in schieramenti diversi, ma non hanno ancora sufficientemente chiarito il modo in cui porsi nel contesto secolarizzato, laico e pluralistico della vita politica odierna: come mediare «laicamente» i valori cristiani e gli orientamenti della dottrina sociale della Chiesa, così da renderli comprensibili e accettabili dagli uomini di buona volontà? È necessario trovare una adeguata risposta a questa domanda cruciale, se si vogliono evitare due gravi tentazioni della Chiesa italiana di oggi.
La prima tentazione riguarda i fedeli laici. Stupisce che – nel centro-destra – i cattolici abbiano approvato la legge xenofoba Bossi-Fini sulla immigrazione, abbiano votato la devolution mostrando di condividerne l’impostazione egoistica, non abbiano avuto il coraggio di opporsi alla serie incredibile di leggi ad personam. D’altra parte, stupisce che – nel centro-sinistra – i cattolici siano pavidi ed esitanti in tema di tutela della vita, di salvaguardia della famiglia, di libertà religiosa, lasciando il campo all’iniziativa rumorosa e alle pretese inaccettabili di gruppi minoritari della sinistra estrema e radicale.
La seconda tentazione riguarda invece la gerarchia. Di fronte alle contraddizioni e alla timidezza dei cattolici impegnati sui due fronti, da un lato c’è il rischio che i vescovi suppliscano direttamente alla mancanza d’iniziativa dei fedeli laici, fino al punto di suggerire scelte politiche concrete – ma non è questa la loro missione –, con la conseguenza che rinascano vecchie forme di anticlericalismo o si rialzino storici steccati; d’altro lato c’è il rischio che, per apparire equidistanti dagli opposti schieramenti, i vescovi evitino di esprimersi sulla maggiore o minore coerenza dei programmi con la dottrina sociale della Chiesa, mentre rientra nella loro missione indicare le regole fondamentali della convivenza civile e giudicare sul piano etico la «cultura» a cui si ispirano i diversi programmi. Così ne soffre la profezia della Chiesa e si inducono i fedeli a ritenere erroneamente che la scelta dell’uno o dell’altro programma politico sia del tutto indifferente.
Concludendo, auspichiamo che il Convegno ecclesiale nazionale di ottobre a Verona offra l’occasione propizia per affrontare «con sapienza» e con parresia evangelica il discorso sul rinnovamento della presenza politica dei cristiani, oggi chiamati a una scelta decisiva: quale Italia vogliamo?

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