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Elezioni Politiche 2006
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precipitato in una grave emergenza democratica. È eloquente che le principali leggi di riforma varate – la Bossi-Fini sulla immigrazione, il «lodo Schifani» sui processi a carico delle più alte cariche dello Stato, la legge Gasparri sul riassetto del sistema radiotelevisivo, la riforma dell’ordinamento giudiziario, fino all’ultima sulla inappellabilità delle sentenze di assoluzione – siano state tutte bocciate, in prima istanza, come anticostituzionali. Per non parlare della riforma della Parte II della Costituzione, che in realtà intacca i fondamenti stessi della democrazia in Italia, alterando l’equilibrio tra i poteri dello Stato; in particolare, come non vedere che, delegando alle Regioni il potere esclusivo di legiferare su scuola, sanità e polizia locale (la cosiddetta devolution), si crea una effettiva disuguaglianza nel godimento di diritti fondamentali e si introduce il germe della lacerazione dell’unità nazionale?
Non meno dannosa è la «riforma» elettorale (Legge 21 dicembre 2005, n. 270) che cancella il precedente sistema maggioritario, approvato dalla stragrande maggioranza degli italiani (82,7%) con il referendum del 18 aprile 1993. Al di là dei dubbi di legittimità costituzionale, rimane il fatto eticamente e politicamente deprecabile che le regole fondamentali del confronto democratico siano state cambiate d’imperio da una sola delle parti in gioco con l’evidente intento di mettere in difficoltà l’altra parte, anteponendo il proprio interesse a quello generale. Le dimissioni del sen. Domenico Fisichella da vicepresidente del Senato e da Alleanza Nazionale (che aveva contribuito a fondare) e il suo passaggio all’Unione sono una ulteriore conferma del disagio, già manifestato dall’on. M. Follini, di fronte al medesimo programma che, se valutato «con sapienza» nel suo insieme, risulta difficilmente accettabile.
A questo punto, è corretto aggiungere che, mentre la valutazione del programma della Casa delle Libertà dopo cinque anni di Governo è possibile, lo stesso non si può dire del programma dell’Unione che è stato solo presentato, ma è ancora da attuare. Tuttavia, è facile cogliere nelle indicazioni programmatiche del centro-sinistra l’influsso della cultura politica solidale e popolare, alternativa a quella neoliberista. Basti citare, per esempio, la volontà di istituire una authority che impedisca il conflitto di interessi che ha avvelenato la intera XIV Legislatura; il proposito di restituire alla vita politica la rappresentatività e la governabilità gravemente lese e compromesse dall’ultima riforma elettorale; l’impegno di riformare la legge Bossi-Fini sulla immigrazione, di stampo xenofobo, e di concedere agli immigrati il diritto di voto; la scelta di un forte rilancio europeistico e di una politica estera «europea» autonoma. Ma soprattutto – rileva Pietro Ichino – nel programma dell’Unione c’è una materia che avrebbe meritato un primo capitolo a sé stante: «potremmo chiamarla “promozione del senso civico” o “cultura delle regole”». Essa – commenta lo studioso – può costituire quella «rivoluzione culturale», di cui l’Italia ha assoluto bisogno, dopo che «nel corso della legislatura che si sta chiudendo, il nostro Paese ha fatto dei passi indietro, aggravando la propria condizione di inferiorità nel panorama internazionale» («Centrosinistra e programma», in Corriere della Sera, 13 febbraio 2006, 26).
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