Lo
scarso protagonismo politico delle donne come ostacolo per
ottenere la parità democratica
|
Mª
Dolores Martínez Cuevas
Dottora
in Diritto Costituzionale
Professoressa
presso l’ Università di Granada |
INDICE
- I.
A modo d’ introduzione
- II.
Approssimazione ad alcuni concetti preliminari in tema
di uguaglianza e discriminazione
- III.
Considerazioni sul protagonismo politico delle donne in
Francia e Portogallo
- IV.
Il ruolo dei partiti politici nel conseguimento di un
maggiore protagonismo politico delle donne
I.
A modo d’ introduzione
Negli
ultimi anni si è registrato un grande interesse e
una notevole presa di coscienza, in relazione al problema
dello scarso intervento delle donne nell’adozione
di decisioni politiche e nella assunzione di responsabilità
al più elevato livello all’interno degli organi
politici rappresentativi. Questa problematica si è
resa evidente non solo fra i gruppi femministi, ma anche
a livello di diritto internazionale, di diritto comunitario
e di diritto straniero e si è tradotta nella adozione
di un insieme di iniziative e misure, la cui principale
finalità consiste nel tentativo d’instaurare
la democrazia paritaria o parità politica(1).
La
concezione della democrazia paritaria riposa su una realtà
di fondo: il sesso femminile costituisce la metà
della popolazione, e si ritiene dunque giusto e doveroso
che ottenga una percentuale proporzionale di “potere”.
Dal momento che nel contesto attuale il margine di partecipazione
politica della donna è molto basso, si prevede che
ognuno non disponga di “un peso inferiore al 40 per
cento, né superiore al 60 per cento” nell’organo
rappresentativo di cui si tratta(2).
In altri termini, la parità politica cerca di ottenere
che le donne superino il “tetto di cristallo”
e partecipino in forma progressiva, comparabile a quella
degli uomini in ambito pubblico, riducendo significativamente
la distanza esistente tra il sesso maschile e femminile
in questa materia(3).
nostra
ricerca, il primo riconosce l’uguaglianza di tutti
gli spagnoli davanti alla legge, senza che possa esistere
un trattamento discriminatorio per ragione di sesso. Il
secondo precetto ordina invece ai poteri pubblici di rimuovere
gli ostacoli che impediscono di ottenere una uguaglianza
autentica e effettiva.
Si devono
poi delimitare con chiarezza i concetti di differenziazione
e discriminazione. Entrambi si considerano
trattamenti diseguali, però il primo è permesso
dalla Costituzione, mentre il secondo è vietato dalla
stessa. Si ammette un trattamento diseguale, o, il che è
lo stesso, una differenziazione solo se esiste una motivazione
“sufficiente, fondata e ragionevole"(5).Se il
trattamento giuridico diseguale è realizzato sulla
base di alcuno tra i motivi vietati dall’articolo
14 della Costituzione spagnola (come il sesso), l’uguaglianza
si converte nel diritto fondamentale a non soffrire una
discriminazione sessuale. Questo diritto fondamentale ha
come principale finalità la parità dei sessi(6).
Il contenuto
del diritto fondamentale a non soffrire discriminazione
per ragioni sessuali sarebbe, secondo lo schema tracciato
da F. Rey Martínez, il seguente:
a) È
vietata la discriminazione diretta, cioè qualsiasi
trattamento diseguale e dannoso dovuto a cause sessuali,
ivi compresa la legislazione classica posta a difesa del
sesso femminile (a eccezione di gravidanza e maternità).
b) È
vietata la discriminazione indiretta, vale a dire qualsiasi
misura che possieda carattere neutro in relazione al sesso,
ma che di fatto comporti un trattamento sfavorevole delle
donne.
Allo
scopo di arginare la disuguaglianza in cui si trova ancora
la donna in moltissimi ambiti della vita e per incentivare
l’uguaglianza di opportunità, i poteri pubblici
devono adempiere al compito di promuovere il sesso femminile.
Ciò va sotto il nome di azioni positive, o misure
di azione positiva(7).
L’azione
positiva è uno dei trattamenti diseguali che
permettono di realizzare l’uguaglianza materiale di
cui in precedenza, in quanto detta azione va a vantaggio
di concreti settori della società con alcuni trattamenti
concreti, visibili e costanti, che lo collocano in una situazione
sfavorevole in relazione alla maggioranza della società.
Malgrado, “la discriminazione inversa come azione
positiva” implica che, in un contesto concreto,
si produca una discriminazione a favore d’un gruppo,
optando per i componenti d’una collettività
(quella femminile) a scapito di altri, ovvero riservando
ai componenti di questa collettività specifica una
quota concreta, provocando direttamente un pregiudizio nei
confronti dei terzi(8).
Diversa
è l’interpretazione che ci presenta Mª.
L. Balaguer, che, senza entrare nella valutazione dell’azione,
né della discriminazione positiva, afferma che la
distinzione tra le stesse non può fondarsi sul fatto
che l’azione, diversamente dalla discriminazione positiva,
non pregiudica diritti dell’uomo, giacché la
prima interviene a favore della collettività
femminile, con pregiudizio di altre misure, eliminando opzioni
a questi e aggiungendole alle seconde(9).
Riguardo
alle quote come misure di discriminazione inversa (riserva
di posti al sesso femminile negli organi di direzione e
nelle liste elettorali), con lo scopo di ottenere che le
donne siano più rappresentate e, in particolare,
sulle quote elettorali si è registrato un ricco e
polemico dibattito riguardo alla loro compatibilità
con la Costituzione. Vi sono, pertanto, autori che difendono
energicamente le quote, e altri che le attaccano appassionatamente.
Fra
chi le difende si distingue E. Martínez Sampere,
che giustifica la legittimità delle quote a beneficio
del sesso femminile, poiché sono funzionali all’eliminazione
della “discriminazione positiva” di cui gli
uomini hanno da sempre approfittato. In questo senso, osserva
efficacemente che gli uomini “hanno formato una vera
‘casta’, che hanno conservato per sé
‘quote’ quasi del cento per cento"(10).In
questo modo, F. Rey Martínez difende la legittimità
costituzionale della previsione delle quote, sebbene sia
necessario procedere con cautela, non semplicemente imponendole,
giacché esse devono essere previste esclusivamente
come rimedio sussidiario, per specifici casi di discriminazione,
come quella in base al sesso, e sono misure di natura temporanea.
Di contrario avviso L. Favoreu, secondo il quale le quote
contrastano con il principio di “indivisibilità
del corpo elettorale"(11).Affermazione cui risponde
P. Biglino, secondo la quale né le quote, una delle
vie possibili che conducono alla democrazia paritaria, né
questa ultima implicano una rottura nel sistema dei diritti
di elettorato(12).
Prescindendo
dalla inevitabile politicizzazione delle quote riservate
al sesso femminile, esse troverebbero la propria base d’appoggio
in due ordini di motivi, secondo A. Ruiz Miguel. Se ci atteniamo
alla loro finalità, esse perseguono l’obiettivo
di “una società più egualitaria“
e, da una prospettiva strumentale, cercano di ottenere che
sia più facile raggiungere posizioni lavorative socialmente
rilevanti come mezzo per superare i tradizionali ostacoli
insormontabili, che impediscono alle donne di assumere un
ruolo centrale nella maggior parte delle posizioni di potere.
L’Autore richiamato propone poi di meditare sulla
compatibilità di tali quote con la Costituzione spagnola
e, in particolare, prospetta la possibilità di modificare
la Legge Organica sul Regime Elettorale Generale (L.O.R.E.G.)
perché stabilisca il dovere di qualsiasi lista di
candidati di riservare un determinato numero di posti in
lista a donne che aspirano ad essere elette democraticamente(13).
Con
il riferimento a queste nozioni (democrazia paritaria o
parità politica) non si allude soltanto alla convenienza
d’instaurare quote, ma si cerca piuttosto
di articolare temporalmente alcune modalità di intervento,
nel perseguimento di alcuni fini di giustizia, e di una
società che si avvicini in forma maggiore alla uguaglianza
dalla prospettiva politica, laddove il sesso non condizioni
in nessuno modo la distribuzione dei ruoli. Quindi, la democrazia
paritaria non deve essere soltanto quantitativa, avvicinando
le percentuali di rappresentanza dell’uno e dell’altro
sesso, ma soprattutto si tratta di concepire la democrazia
paritaria in termini qualitativi, come una componente essenziale
della democrazia contemporanea e, insomma, dei diritti fondamentali
del sesso femminile(14).
La parità
non consiste nell’annullamento della distinzione sessuale
che caratterizza il genere umano, dal momento che c’é
un sesso maschile e un sesso femminile: piuttosto la parità,
secondo E. Martínez Sampere, nel mettere fine in
forma tangibile alla secolare gerarchizzazione uomo-donna,
“è un nuovo progetto della intelligenza umana
che inventa possibilità ed espande la realtà
al di là dell’esistente, integrandola in questo
progetto umano elaborato dalle donne per convivere in forme
differenti.”(15)
Graficamente,
non si tratta di dare alcuni piccoli ritocchi di trucco
alla democrazia (mediante le quote o le percentuali in favore
delle donne) per dissimulare le sue carenze e far sì
che appaia ugualitaria. Su più ampia scala,
si tratterebbe di realizzare una vera operazione di chirurgia
politica con il fine di trasformarla in una vera democrazia
paritaria, dove il protagonismo politico attivo della donna
sia reale e equilibrato con il protagonismo maschile
III.
Qualche considerazione sul protagonismo politico delle donne
in Francia e Portogallo
Una
volta delimitati, pur se sommariamente, questi ed altri
concetti dovremmo affrontare, senza l’intenzione di
scendere troppo nei dettagli, la situazione generale nel
diritto comparato, insistendo fondamentalmente su Francia
e Portogallo.
In Francia,
nel corso di due soli decenni, la preoccupazione per lo
scarso margine di manovra della donna nell’ambito
delle decisioni politiche è notevolmente mutata.
Paragonando le iniziali aspirazioni degli anni settanta
con quelle degli anni novanta, L. Favoreu osserva una notevole
differenza, poiché si è passati dal
rivendicare “quote” a rivendicare “parità”.
Più concretamente, oggi non si perseguono le prime
nel momento iniziale della selezione, bensì nel momento
finale, per verificare chi siano i candidati e le candidate
realmente eletti. In questo senso, “la percentuale
è non già del 25 per 100, ma del 50 per 100;
non si esige la garanzia d’un minimum di rappresentazione
per donne ed uomini, ma soltanto per le donne; non si tratta
d’una misura provvisoria di ‘correzione’,
ma d’una misura definitiva." (16)
Malgrado
l’uso generale del termine parità, per alludere
alle conquiste ottenute dopo la riforma costituzionale francese
dell’8 luglio del 1999, un autore come D. Rousseau
osserva che il mondo della politica, del diritto e della
stampa ha compreso che la riforma costituzionale ha incorporato
il criterio “della parità” uomo-donna
nella vita politica. Ciò benché, ad un’analisi
dettagliata, il termine “parità” non
compaia nei nuovi precetti giuridici, per cui “l’unico
riferimento costituzionale continua ad essere al principio
d’uguaglianza." (17)
Al fine
di ottenere la democrazia paritaria, il costituente francese
ha dovuto procedere alla riforma, con la legge costituzionale
99-569, dell’8 luglio, degli articoli 3 e 4 della
Costituzione del 4 ottobre 1958. A seguito della riforma,
all’articolo 3 della stessa Costituzione è
stato aggiunto il seguente paragrafo: “La legge
favorisce l’uguale accesso delle donne e degli uomini
alle cariche elettive e alle funzioni pubbliche elettive.”
D’altra parte, all’articolo 4 della stessa Costituzione
si é aggiunto questo paragrafo: “Essi [i
partiti e i gruppi politici] concorrono all’attuazione
del principio affermato all’ultimo comma dell’art.
3 secondo le condizioni stabilite dalla legge."
(18)
Per
adeguarsi ai nuovi precetti costituzionali, il legislatore
francese ha dovuto modificare la legislazione elettorale
e quella in materia di finanziamento dei partiti per favorire
un uguale accesso di donne e uomini alle cariche e alle
funzioni pubbliche elettive (19). In tal modo, spinge fino
alle sue estreme conseguenze pratiche la volontà
espressa nella parte dogmatica della Costituzione, che impedisce
la discriminazione per ragione di sesso (20).
Più
concretamente, l’equiparazione tra uomo e donna verrà
raggiunta in sede elettorale, e pertanto nella vita politica,
mediante liste elettorali che diano spazio allo stesso
numero di candidati dell’uno e dell’altro sesso.
Se l’attuazione di questo principio non verrà
garantita, l’intervento pubblico nel finanziamento
dei partiti politici francesi si ridurrà in maniera
proporzionale alla diminuzione del numero di donne candidate
nelle liste elettorali.
Anche
se sanzionare pecuniariamente i partiti riducendo i contributi
pubblici può risultare odioso dal punto di vista
morale, D. Rousseau finisce per difendere tale scelta, perché
in un ambiente “sempre caratterizzato dal predominio
maschile, la lotta delle donne per il riconoscimento della
diversità universale e la sua traduzione politica
nel principio di parità forse richiede, se
mi è concesso dirlo, di pagare questo prezzo."
(21)
Di qui,
la domanda: sarebbe legittimo, come è successo in
Francia, che si prevedano anche in Spagna tagli alla contribuzione
pubblica se i partiti non includono nelle loro liste elettorali
lo stesso numero di candidati uomini e di candidate donne?
Riguardo a ciò, è molto significativo che
in Spagna non si riscontrasse alcuna preoccupazione
dottrinale per questo tema fino alla metà degli anni
novanta(22) : ciò si è riflettuto nell’inerzia
del legislatore in merito alla regolamentazione di questo
problema.
L’adozione,
in Spagna, di criteri simili a quelli seguiti in Francia
costituirebbe, secondo Maria Holgado, un’operazione
che potrebbe essere legittimata dalla Costituzione, al fine
di conseguire l’autentica uguaglianza tra persone
di sesso differente sul terreno della “rappresentanza
politica”. Più concretamente, afferma che sarebbe
irrefutabile, nella prospettiva del “principio d’uguaglianza
e non discriminazione per ragione di sesso”.
In questo modo, non si violerebbe il diritto ad essere eletto
(suffragio passivo), dal momento che l’obiettivo perseguito
è quello di un trattamento realmente eguale tra i
rappresentanti politici, garantendo la realizzazione del
“principio d’uguaglianza”, imprescindibile
per ottenere autentica democraticità dell’organizzazione
dei partiti politici e delle dinamiche interne agli stessi(23).
In Portogallo,
il notevole protagonismo acquisito dalle donne nella società
dopo l’approvazione della vigente Costituzione del
1976, non si è esteso al campo della partecipazione
politica, giacché il livello d’intervento del
sesso femminile continua ad essere più basso rispetto
a quello del sesso maschile. Per cercare di porre rimedio
a questo problema, è stato modificato l’articolo
109 della Costituzione portoghese. Prima della riforma si
menzionava “la partecipazione diretta e attiva dei
cittadini nella vita politica”, mentre dopo la riforma
del 1997 la Costituzione si riferisce alla partecipazione
di “concreti uomini e donne": così, “l’allusione
diretta alla condizione femminile investiva [...] l’ambito
stesso della cittadinanza” (24).
Il nuovo
contenuto del menzionato precetto costituzionale comporta
complesse questioni interpretative, sebbene vi sia accordo
su un tema: la Costituzione della Repubblica portoghese
auspica che donne e uomini siano realmente “uguali”.
Da essa derivano due criteri: il primo consiste nel fatto
che l’uguaglianza deve estendersi al campo della partecipazione
politica, mentre il secondo consiste nel fatto di considerare
costituzionalmente legittime “le misure di discriminazione
positiva”, imprescindibili per realizzare la volontà
di uguaglianza della Costituzione. Il legislatore ordinario
in Portogallo potrà decidere in piena autonomia in
merito al “contenuto essenziale, al modo e al tempo
di adozione di queste azioni positive”, perché
l’articolo 109 della Costituzione non può obbligare
il legislatore a realizzare una condotta concreta. In realtà,
la riforma costituzionale si presenta soltanto come un permesso
al legislatore di prevedere concrete operazioni di
discriminazione positiva, che, tuttavia, ancora devono essere
specificate (25).
IV.
Il ruolo dei partiti politici nel conseguimento d’un
maggiore protagonismo politico delle donne
A questo
punto, quale posizione devono assumere i partiti politici?(26)
Sono
obbligati a favorire la democrazia paritaria, o sono liberi
nelle loro condotte e nel modo d’organizzarsi internamente?
In Spagna,
né la Costituzione, né le leggi disciplinano
espressamente la democrazia paritaria. Allora è necessario
domandarsi se il salto verso la parità politica
deve essere opera dei partiti (volontariamente, mediante
le quote di candidate donne nelle liste, le percentuali,
ecc.), del legislatore costituente e ordinario, o di entrambi
(partiti e legislatore).
I partiti
politici sono mossi da ragioni di giustizia (evitare la
discriminazione storicamente subita dalle donne nel mondo
della politica), sotto la spinta di pressioni che vengono
dai propri militanti, simpatizzanti, e forse anche dall’opinione
pubblica nella quale, in maggiore o minore misura, hanno
fatto breccia, fra l’altro, le rivendicazioni del
movimento femminista in Spagna. Allo stesso tempo, si ravvisa
una motivazione ulteriore per incentivare il protagonismo
femminile nei partiti politici, vale a dire la circostanza
che l’assenza delle donne nei partiti risulta meno
attraente per l’elettorato femminile, per cui vi sono
partiti che hanno optato per un rafforzamento del ruolo
delle donne all’interno dei medesimi. Si tratterebbe
di una specie di misura elettoralista, una arguzia per cercare
di intercettare il voto femminile, che avvertirebbe una
maggiore identificazione con candidate e/o dirigenti politiche
del loro stesso sesso.
Inoltre,
dato che i partiti esercitano funzioni costituzionali rilevanti
per il sistema democratico, l’uguaglianza deve essere
uno dei motori che guida la sua attività. Vale a dire,
che il trattamento dei partiti nei confronti dei propri militanti
non deve essere discriminatorio, quindi in relazione ad “atti
o pretese uguali degli iscritti devono applicarsi uguali conseguenze”.
Si é arrivati persino ad affermare che i partiti possano
adempiere al mandato costituzionale dell’art. 9.2 rimuovendo
gli ostacoli che impediscono che l’uguaglianza formale
dei propri iscritti sia materiale e autentica e, di conseguenza,
adottare misure a favore di un incremento dell’intervento
delle donne nei partiti (27).
Secondo
me, dato che i partiti politici spagnoli non sono poteri
pubblici, sebbene esercitino funzioni pubbliche, non sono
obbligati dall’ articolo 9.2 CE, bensì dall’articolo
6 CE che impone ai partiti, come già abbiamo visto,
democraticità di funzionamento e struttura interna.
Avendo
presente che l’articolo 14 della Costituzione spagnola
vieta la discriminazione per ragione di sesso, l’uguaglianza
tra i sessi dovrebbe rappresentare la bandiera inalberata
da tutti i partiti. Al riguardo, F. Flores si interroga
su “possibilità e portata delle misure di discriminazione
positiva” che i partiti politici realizzano al loro
interno, e principalmente “la ‘riserva’
d’un minimo di posti per le donne negli organi di
direzione del partito e nelle cariche pubbliche.”
La problematica consisterebbe nel determinare se sia “ragionevole
giuridicamente, o possa essere imposta nella stessa forma,
un’azione o previsione di incentivo, pur se temporaneo,
da parte dei partiti, a beneficio delle donne; vale a dire,
l’imposizione statutaria d’una quota femminile.
La risposta deve essere affermativa alla prima domanda,
e negativa alla seconda" (28).
In conformità
con la giurisprudenza costituzionale spagnola (29), che
si riferisce, nella maggioranza dei casi, a situazioni svantaggiose
in materia di condizioni di lavoro, si può affermare
che il trattamento diseguale realizzato da una regolamentazione
di partito che disponga con riferimento a persone di differente
sesso, si legittima esclusivamente “se è ragionevole”,
vale a dire, non può essere arbitraria, deve essere
giustificata in termini oggettivi, proporzionati e ragionevoli,
e le misure singolari a favore delle prime devono dirigersi
a compensare una diseguale situazione di partenza(30)
Queste
misure di discriminazione positiva (trattamento diseguale
nei confronti degli iscritti da parte di un partito, al
fine di correggere la tradizionale posizione di svantaggio
della donna rispetto all’uomo) possono adottarsi dal
legislatore costituente e ordinario o dagli statuti degli
partiti, sebbene i primi saranno obbligati, in maggiore
misura, a regolarli.
(1)
TRUJILLO, Mª. A., “La paridad política”,
in, ALVAREZ CONDE, E. et al., Mujer y Constitución
en España. Madrid, Centro de Estudios Políticos
y Constitucionales, 2000, pp. 355-356. Questa autrice utilizza
indistintamente ambedue le espressioni.
(2)
BIGLINO CAMPOS, P. “Las mujeres en los partidos políticos:
representación, igualdad y cuotas internas”,
in ALVAREZ CONDE, E. et al., Mujer y Constitución
en España, op. cit.,. pp. 412-413.
(3)
TRUJILLO, Mª. A., “La paridad política”,
op. cit., p. 355.
(4)
REY MARTÍNEZ, F., El derecho fundamental a no
ser discriminado por razón de sexo, Madrid,
McGraw-Hill, 1995, pp. 41-43.
(5)
TRUJILLO, Mª. A., “La paridad política”,
op. cit., pp. 357-358.
(6)
REY MARTÍNEZ, F., El derecho fundamental a no
ser discriminado por razón de sexo, op. cit.,
p. 109.
(7)
REY MARTÍNEZ, F., El derecho fundamental a no
ser discriminado por razón de sexo, op. cit.
Questo autore utilizza il termine azione positiva, mentre
alcune autrici alludono alle misure d’azione positiva,
come ad esempio MARTÍN VIDA, Mª A., Fundamento
y límites constitucionales de las medidas de acción
positiva, Madrid, Civitas, 2003.
(8)
TRUJILLO, Mª. A., “La paridad política”,
op. cit., pp. 358-360.
(9)
BALAGUER CALLEJÓN, Mª. L., “Desigualdad
compensatoria en el acceso a cargos representativos en el
ordenamiento jurídico constitucional español.
Situaciones comparadas”, in ALVAREZ CONDE, E.
et alii, op. cit. p. 388.
(10)
MARTÍNEZ SAMPERE, E., “La legitimidad de la
democracia paritaria”, REP n. 107, 2000,
p. 141.
(11)
FAVOREU, L., “Principio de igualdad y representación
política de las mujeres. Cuotas, paridad y Constitución”,
REDC, n. 50, maggio-agosto 1997, p. 24.
(12)
BIGLINO CAMPOS, P., “Las mujeres en los partidos políticos:
representación, igualdad y cuotas internas”,
op. cit., p. 413.
(13)
RUIZ MIGUEL, A., “Paridad electoral y cuotas femeninas”,
in Claves de Razón Práctica, n. 94,
luglio/agosto 1999, p. 48.
(14)
TRUJILLO, Mª. A., “La paridad política”,
op. cit., p. 355.
(15)
MARTÍNEZ SAMPERE, E., “La legitimidad de la
democracia paritaria”, op. cit., p. 149.
(16)
FAVOREU, L., “Principio de igualdad y representación
política de las mujeres. Cuotas, paridad y Constitución”,
op. cit., pp. 14-18.
(17)
ROUSSEAU, D., “Los derechos de la mujer y la Constitución
francesa” in ALVAREZ CONDE, E. et al., op.
cit., p. 110. Comunque, l’autore finisce per cedere
rispetto alla sua posizione iniziale ed usa il vocabolo
parità nel corso della sua ricerca.
(18)
Artt. 1 e 2, Loi constitutionnelle 99-569 du 8 juillet
1999 relative à l’égalité entre
les femmes et les hommes (Journal Officiel de la République
Française del 9 luglio 1999).
(19)
Loi 2000-493 du 6 juin 2000, tendant à favoriser
l’ègal accès des femmes et des hommes
aux mandats électoraux et fonctions électives
(Journal Officiel de la République Française
del 7 giugno 2000). La legge modifica parzialmente il Codice
elettorale e la Legge 88-227 dell’11 marzo 1988, relativa
alla trasparenza finanziaria della vita política.
Alcuni articoli della Legge 2000-493 (artt. 1, 4, 9, 10.1,
18, 19 y 20) sono stati dichiarati non conformi alla Costituzione
dal Consiglio costituzionale, decisione n. 2000-429 DC del
30 maggio 2000, pubblicata nel Giornale ufficiale dello
stesso giorno.
(20)
Come noto, la parte dogmatica della Costituzione francese
del 1958 è costituita dalla Dichiarazione dei Diritti
dell’Uomo e del Cittadino del 1789 e dal Preambolo
della Costituzione francese del 27 ottobre 1946. Il divieto
di discriminazione per motivi sessuali s’osserva più
chiaramente nel Preambolo della Costituzione di 1946, quando
proclama: “La Legge garantiza alla donna, in tutti
gli ambiti, diritti uguali a quelli dell’uomo.”
(21)
ROUSSEAU, D., “Los derechos de la mujer y la Constitución
francesa.” op. cit., p. 111.
(22) Questa assenza di preoccupazione per il tema della
parità elettorale in relazione con il finanziamento
dei partiti s’osserva, tra le altre opere, in AA.VV.,
La financiación de los partidos políticos.
Dibattito svoltosi presso il Centro de Estudios Constitucionales,
il 23 novembre 1993, Madrid, Centro de Estudios
Constitucionales, Cuadernos y Debates, n. 47, 1993.
(23) HOLGADO GONZÁLEZ, Mª., “Financiación
de partidos y democracia paritaria” in Revista
de Estudios Políticos, n. 115 (n.e.), gennaio-marzo
2002, pp. 152-153.
(24)
Nel paese nostro vicino, il Portogallo, agli inizi degli
anni settanta, “soltanto una quarta parte delle donne
integrava l’universo della popolazione attiva, formata
soprattutto da giovani minori di 25 anni, nubili e senza
impegni familiari, che si impiegavano soprattutto in settori
con scarsa qualificazione professionale. Nel 1997, la tassa
di lavoro femminile è salita al 43% della popolazione
attiva, contro il 56, 6% d’attività maschile,
ma il 50% delle portoghesi che lavorano adesso sono
sposate e (o) hanno impegni familiari; e sebbene la percentuale
delle donne prive di alcun grado d’istruzione continua
ad essere ancora più elevata di quella degli uomini
[...] l’evoluzione recente dimostra un impressonante
tasso di femminilizzazione a tutti i livelli d’insegnamento:
nel 1997, il 48,4% degli studenti dell’insegnamento
fondamentale, il 52,2% dell’insegnamento secondaria
e il 56,4% del’insegnamento superiore erano di sesso
femminile”, così AMARAL, Mª. L., “Las
mujeres en el Derecho Constitucional: el caso portugués”,
in ALVAREZ CONDE, E. et al., Mujer y Constitución
en España, op. cit., pp. 171-172.
(25)
AMARAL, Mª. L., op. cit., pp. 172-173.
(26)
Per approfondimenti, v. MARTÍNEZ CUEVAS, Mª
D., Régimen jurídico de los partidos políticos,Madrid,
Marcial Pons, 2006.
(27)
FLORES GIMÉNEZ, F., op. cit., p. 201.
(28) FLORES GIMÉNEZ, F., op. cit., pp. 202-203.
(29) Tra le più significative sentenze del Tribunale
Costituzionale in materia di “azioni positive”
risaltano le seguenti: 128/1987; 269/1994, 114/1983; 98/85;
128/1987; 166/1988; 19/1989; 145/1991, y 103/93. Cfr. TRUJILLO,
Mª. A., “La paridad política”, op.
cit., p. 359.
La giurisprudenza costituzionale in materia d’uguaglianza
è stata sistematizzata da Mª. L. Balaguer, che
afferma che in questo campo il Tribunale Costituzionale
“ha seguito una linea evolutiva abbastanza irregolare.”
Distingue tre fasi: la prima comincia con la sentenza 81/1982,
dove si stabilisce “un concetto meramente formale
dell’uguaglianza, che viene sviluppato e messo in
questione nei voti particolari alla sentenza 103/83, e che
muove da un giudizio piano di razionalità senza intervento
d’elementi teleologici rispetto all’uguaglianza
reale.” La seconda, dove “il trionfo dei voti
particolari della sentenza 103/83, introduce a partire della
sentenza 128/87, il ragionamento teleologico, secondo il
quale l’uguaglianza che la Costituzione pretende è
un fine, e comporta l’arrivo all’guaglianza,
partendo dalla disuguaglianza.” Il Tribunale Costituzionale
afferma “a partire da allora, che l’uguaglianza
non è già l’identità, bensì
la giustificazione della diferenza, perchè soltanto
trattando in maniera differente ciò che è
differente si può arrivare alla uguaglianza reale”.
Una
terza tappa si apre con la sentenza 315/94, che “modifica
i criteri della sentenza 81/82”. La prima sentenza
distingua “tra la irreversibilità delle conquiste
sociali, e il mantenimento di privilegii ingiustificati.
Può considerarsi un momento di rottura rispetto ai
primi anni di giurisprudenza del Tribunale in materia d’uguaglianza,
sebbene riguardi più specificamente la materia del
lavoro, piuttosto che quella del genere”
BALAGUER
CALLEJÓN, Mª. L., “Desigualdad compensatoria
en el acceso a cargos representativos en el ordenamiento
jurídico constitucional español. Situaciones
comparadas”, in ALVAREZ CONDE, E. et al.op.
cit. pp. 389-391.
(30)FLORES
JIMÉNEZ, F., op. cit., p. 203. |