aiuti
il Paese a ricuperare il senso della legalità? Un’Italia
impegnata a elaborare una politica estera «europea»,
più che «filoamericana», al servizio della pace
e della giustizia nel mondo?
Questa è la scelta che abbiamo dinanzi: quale Italia vogliamo?
Ecco perché occorre «valutare con sapienza i programmi»,
giudicarne cioè 1) i valori, 2) le riforme, 3) la classe
politica.
1. I valori
I valori su cui fondare il «progetto Italia» non li
dobbiamo inventare. Sono già enunciati nella Costituzione:
la dignità del lavoro e il primato della persona umana con
i suoi diritti inviolabili: all’uguaglianza, alla libertà,
alla partecipazione (artt. 1-4), la famiglia fondata sul matrimonio
(art. 29), il diritto dei genitori di istruire ed educare i figli
(art. 30), il diritto alla tutela della salute (art. 32), la sussidiarietà
responsabile delle autonomie locali nel rispetto dell’unità
nazionale (art. 5), la libertà religiosa (artt. 8, 19), il
ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali (art. 11).
Il problema, dunque, non sta tanto nella loro individuazione, quanto
piuttosto nella interpretazione diversa che ne danno, da un lato,
la Casa delle Libertà in senso neoliberista, dall’altro,
l’Unione in senso solidale e riformista. Valutarli «con
sapienza», significa chiedersi quale dei due programmi sia
più rispettoso dello spirito della Costituzione, più
adeguato a sanare le disuguaglianze tra Nord e Sud, più conforme
alla dottrina sociale della Chiesa.
Non è qui il caso di ripetere analisi che abbiamo già
fatto molte volte (cfr SORGE B., Quale Italia vogliamo? Un vademecum
per i cattolici in politica, Àncora, Milano 2006). Preferiamo
piuttosto riflettere su una questione di fondo, che in questa infuocata
campagna elettorale è tra le più discusse, da una
parte e dall’altra: il riconoscimento giuridico delle coppie
di fatto, anche omosessuali.
La gerarchia in proposito è intervenuta ripetutamente, essendo
suo compito formare le coscienze e giudicare della coerenza o meno,
sul piano morale e religioso, anche delle scelte politiche. Perciò,
Benedetto XVI non ha fatto che compiere il suo dovere pastorale
ribadendo che «è un grave errore oscurare il valore
e le funzioni della famiglia legittima fondata sul matrimonio, attribuendo
ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, dei
quali non vi è, in realtà, alcuna esigenza sociale»
(«Discorso agli Amministratori della Regione Lazio, del Comune
e della Provincia di Roma», in L’Osservatore Romano,
13 gennaio 2006, 5).
Nello stesso tempo, anche i fedeli laici sono tenuti a testimoniare
e difendere con la parola e con la vita valori che sono irrinunciabili,
tra cui primeggiano, per la loro portata oggettiva, la difesa della
vita e la tutela della famiglia fondata sul matrimonio. Tuttavia,
pur avendo maturato questa convinzione alla luce della fede, il
loro non è un impegno confessionale, ma laico e civile. Infatti,
a prescindere dalla fede, nessuna trasformazione culturale o di
costume potrà mai eliminare il ruolo essenziale di cellula
fondamentale della società, che compete alla famiglia fondata
sul matrimonio, essendo questa l’unica forma di «stabile
istituzione sovraindividuale» (Corte Costituzionale, sentenza
n. 8/1996). Del resto la nostra Carta Repubblicana riconosce, «laicamente»,
solo la famiglia fondata sul matrimonio (art. 29), poiché
– spiega la Corte Costituzionale –...
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