ha
«una dignità superiore, in ragione dei caratteri di
stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività
di diritti e doveri, che nascono soltanto dal matrimonio»
(sentenza n. 310/1989).
Con ciò non si intende penalizzare o demonizzare le coppie
di fatto. Anzi, secondo una corretta interpretazione della Costituzione
(artt. 2, 3 e 30), pur negando ogni equiparazione con la famiglia
fondata sul matrimonio, lo Stato è tenuto a riconoscere e
a tutelare anche i diritti civili dei conviventi di fatto (uomo
e donna), a cominciare da quelli riguardanti la maternità,
l’infanzia e i figli nati fuori del matrimonio. «Per
le stesse ragioni – scrivevamo qualche tempo fa – lo
Stato dovrà rispettare e tutelare la dignità e i diritti
civili delle persone omosessuali, anche quando liberamente decidessero
di convivere. È ovvio, però, che le coppie di fatto
omosessuali (dove i conviventi sono incapaci di una vera unione
“coniugale”) non possono essere equiparate né
alle coppie di fatto eterosessuali, né – tanto meno
– alla famiglia fondata sul matrimonio» (SORGE B., «A
proposito di coppie di fatto», in Popoli, 11/2005, 1).
Pertanto i cristiani, in quanto cittadini, sul piano «laico»
del diritto e nel rispetto delle regole democratiche, lotteranno
tenacemente in difesa della famiglia fondata sul matrimonio, ma
al tempo stesso sosterranno la tutela dei diritti civili dei conviventi
di fatto, senza però confondere o anche solo equiparare tra
loro realtà che sono diverse. Questa, del resto, è
la posizione assunta dall’Unione quando propone, senza parlare
di PACS, «il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative
e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto»
(Per il bene dell’Italia. Programma di Governo 2006-2011,
p. 72).
In ogni caso il cristiano difenderà la famiglia fondata sul
matrimonio, non solo con gli strumenti che la democrazia gli mette
a disposizione, ma anche testimoniandone apertamente il valore con
la parola e con la vita e impegnandosi affinché cresca il
consenso delle coscienze intorno all’ideale.
Detto questo, occorre ribadire che per valutarlo «con sapienza»
un programma va considerato nel suo insieme. Non si può giudicarne
l’accettabilità etica e politica solo in base alla
posizione più o meno sufficiente nei confronti dell’uno
o dell’altro valore fondamentale; bisogna anche tenere conto
che siano rispettati altri principi irrinunciabili: l’osservanza
delle regole democratiche, la priorità del bene comune sugli
interessi personali o di parte, la tutela dei ceti più deboli,
una politica economica che (opponendosi alla deriva del liberismo
selvaggio) finalizzi il profitto al lavoro umano e non sacrifichi
la solidarietà all’efficientismo e alla competitività.
Un programma va considerato nella sua globalità. Le dimissioni
dell’on. M. Follini da vicepresidente del Consiglio dei Ministri
e da segretario politico dell’UDC confermano il profondo disagio
che la coscienza prova quando valuta «con sapienza»
un programma nel suo insieme, anche se esso rifiuta i PACS e sostiene
formalmente la famiglia.
2. Le riforme
In secondo luogo, per «valutare con sapienza» un programma,
occorre esaminare le riforme che esso propone. Anche qui non è
il caso di ripetere quanto abbiamo già scritto ripetutamente
sulla nostra Rivista. Non si può, però, fare a meno
di rilevare che la cultura neoliberista, a cui la Casa delle Libertà
ispira il suo programma, si è dimostrata inadatta in cinque
anni di Governo a risolvere i gravi problemi del Paese; anzi lo
ha ...
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